SULL'UTILIZZO DEI CODICI ESPRESSIVI
Boucherie per corpi inanimati e corpi danzanti
La contaminazione tra corpo animato e inanimato segna il mio atto
poetico. Indagare questa terra di confine mi consente pluralità,
simultaneità, l'esplorazione pratica di ciò che nascondiamo agli
altri e a noi stessi.
Si crea in questo sistema duale, tra corpo dell'attrice e corpo
del fantoccio, una tensione tra le molteplici sfaccettature del
cuore, che costringe ad ammettere la nostra frammentarietà e a
ripetere continuamente l'esperienza della mancanza, della perdita,
della dipendenza, della nostra infinitezza, ovvero non-finiti,
incompleti.
La confusione del corpo(corpo del fantoccio, corpo del
manipolatore, corpo d'attore) è frutto di un'intrinseca pluralità
indivisibile.
Testimonio l'impossibilità di un soggetto unitario e la tensione
verso essere altro da me, infinita approssimazione, ininterrotto
percorso di avvicinamento a qualcosa d'altro, “mimesis del
possibile” per la configurazione di un nuovo corpo perennemente
costruibile.
La pelle si crepa e i confini tra il mio corpo e questi oggetti,
miei partner di scena, si fanno fluidi. Un nuovo corpo si crea
nella relazione: un corpo in continuo spostamento tra l'attrice e
l'oggetto. Condivido il mio corpo con l'oggetto-fantoccio. Questo
corpo ibrido vive di un continuo movimento di auto-costruzione e
distruzione interna, ribadendo il naturale spostamento d'identità
dell'essere umano. Si tratta di rivivere in un lasso di tempo
piuttosto breve diverse nascite e morti molto ravvicinate.
L'impressione è quella di una bambina che gioca sola con i suoi
pupazzi nella stanzetta, probabilmente è figli unica. Bene, io mi
sento come questa piccina che da la voce a tutti i sui pupazzi, di
uno ne prende le sembianze, poi si distacca e ci parla un po’ a tu
per tu, prende il corpo d’un altro, poi c'è ancora qualcun altro
che arriva e così via…
La mia preoccupazione era di avere a che fare con l'inesistente,
fino al momento in cui ho realizzato, invece, di giocare con
l'invisibile.
Questi esseri rivelano una vita che fino a quel momento non era
manifesta. Punto di passaggio tra il visibile e l'invisibile,
esprimono e conservano l'invisibile e ci volgono per un attimo
cuore e sguardo verso questa direzione da cui provengono. Rinviano
alla dimensione magica di Altrove.
Un archetipo che appare, entra ed esce dal nostro orizzonte di
portata, lasciandoci indovinare l'invisibile da cui viene.
Un doppio tempo: quello presente dell'apparizione e quello eterno
dell'archetipo. In questo gioco di mediazione tra il tempo mitico
e il tempo storico, sigillo l'unione tra l'anima e la carne.
Cerco con brama un collegamento tra la realtà materiale del corpo
e la sua realtà fantastica. In tal senso indago la relazione e
commistione tra il teatro di figura e il corpo danzante. Concedo
il mio corpo a queste creature che di volta in volta me lo
restituiscono intriso di nuova anima, deformato, allungato...
I due codici, quello della danza e quello delle marionette,
viaggiano variabilmente sulla stessa strada o su strade parallele,
ma sempre, entrambi, lungo le vie che lasciano al corpo lo spazio
d'incertezza che gli è proprio ed in questa zona liminale alterano
il tempo ordinario.
Il mio corpo puttanesco diventa così terra sempre smossa che
richiama immagini da un passato mitico, visioni di fantasia,
scenari non ancora vissuti, passaggi di fantasmi in transito,
una condizione d'impermanenza e trasfigurazione continua.
La condizione di partenza dei fantocci è quella di oggetti
inanimati, è questa condizione necessaria, che consente la vita.
Essi contengono la dualità tra vita e morte: sono corpi oltre la
vita, già morti o continuamente moribondi. Sono i fantasmi del
corpo!
Questi fantocci sono figure evocative, creature leggere, che a
volte mi lasciano senza volto, perdo i miei occhi eppure posso
vedere molte cose.